ZOMBIE vs PASTORELLI - mini fashion tales - Liberamente ispirato alla collezione bambino di Stella M

'Non voglio venirewwww!!!!'
Con i polmoni che stavano per esplodere e tutta la forza che il gracile corpicino era riuscito a incamerare in pochi secondi Alberto aveva urlato con rabbia in faccia alla mamma il suo dissenso mentre lei gli stava mettendo il giubbotto e gli ordinava di scendere le scale.
'Non voglio venirewwww!!!'
Si era attaccato al corrimano di ferro battuto intarsiato di foglie d'acanto mentre il papà lo trascinava gradino per gradino.
'Perché dobbiamo andare al mareeeeeeewwww???
Tutti i miei amici vanno a sciareeeeeeewwww!!!'
Fiumi di lacrime gli scorrevano dagli occhi e bagnavano il colletto del cappotto. Ormai la voce era rotta dai singhiozzi. La pancia era squartata, la bocca tremava. Stava piangendo così forte e da così tanto tempo che ormai si era quasi dimenticato l'origine dell'immensa tristezza e sentiva solo la testa fare male. Ma una sensazione di profonda ingiustizia alimentava senza sosta i rigagnoli che gli occhi continuavano incessantemente a produrre.
'Non è giustooooooooowwwww….'
La portiera chiusa prepotentemente dietro di lui regalò finalmente quiete al quartiere e rimase solo l'immagine dietro il finestrino di un viso imbruttito dal pianto.
Al chilometro quaranta finalmente Alberto tacque. I genitori non avevano mosso un dito per venirgli incontro; non una promessa, non un accenno a ritrattare.
Lo sapeva fin dall'inizio del pianto.
Avrebbero fatto di tutto per lui, ma non assecondare un capriccio. E, tra se e sé, lo ammetteva: era un capriccio! Ma che noia, il mare d'inverno…
Cosa avrebbe potuto fare nelle lunghe giornate natalizie? Il bagno gli sarebbe stato severamente vietato e l'unico passatempo sarebbe stato sedere accanto a mamma e papà e sentire i loro discorsi da grandi ai tavolini del bar o a passeggio per le vie. Niente bagni, niente sabbia, niente divertimento. E poi, quale altro bambino sarebbe stato tanto sfortunato quanto lui ad avere dei genitori sadici amanti del mare d'inverno?
Ah, aveva dimenticato Alice, la sua vicina di casa. Una bambina molto strana. Anche lei veniva dalla città ma era nata lì e quindi per lei era naturale vedere il mare in ogni giorno dell'anno. Non aveva mai fatto amicizia con lei perché la vedeva sempre affaccendata a fare cose strane e sembrava troppo impegnata per essere interessata a uno come lui. E così, la salutava con lo sguardo che abbassava però quasi immediatamente sullo schermo del suo videogioco.
Passarono ancora molte ore. Neanche si rese conto perché il pianto lo aveva sfinito e ora giaceva addormentato sotto gli occhi vigili della mamma.
Poi cominciarono le curve. Si svegliò sotto le note di una musica jazz, la preferita di papà. Lui non capiva perché la trovasse bella: era molto lunga e senza parole. Ed era così… triste. Non capiva perché si dovesse ascoltare qualcosa che facesse piangere. Non aveva senso. In ogni caso, in quel momento gli aveva rotto il sonno e i suoi occhi si erano riempiti di luce e colori: la Costiera era davanti a lui! Sempre immutata. Con un'unica grossa differenza: la luce era diversa, più fredda, e i colori meno intensi rispetto all'estate precedente. Sapevano di inverno. Bastava guardarli e sentiva i brividini dei piedi nudi che toccavano la ghiaia della spiaggia inumidita dal sale del mare.
I primi due giorni furono esattamente come li aveva immaginati: chiacchiere, passeggiate per il lungo mare di Amalfi, carte, qualche cioccolata calda. Il sole ingannava ancora di più: l'aria fredda e umida si infilava in ogni vicolo e l'atmosfera estiva era inesistente. Si era stufato di seguirli e quel giorno decise di rimanere sui gradini di casa. Continuava a non capire quale fosse il motivo di andare in quel posto d'inverno e da più di un'ora stava seduto a fissare il suo videogioco che la mamma non era riuscita a strappargli di mano.
'Buongiorno...'
Una voce leggera e lontana stava disturbando la battaglia con gli zombie.
'Ehi, musone…'
Gli zombie stavano avendo la meglio su di lui… chi osava interrompere il suo gioco?
'Credo che tu abbia bisogno di una vacanza'
Finito, morto, distrutto. Un mare di zombie su di lui e una voce fastidiosa in sottofondo. Sarà stata sicuramente l'amica di sua madre, quella che gli schiaccia il naso e gli stritola le gote biascicando ogni sei mesi che lo vede un 'checicciomacomeseicresciuto!!'
Lasciò cadere tra le gambe il gioco e sbuffando alzo' gli occhi.
E invece…
Si trovò davanti una sagoma femminile piccina e colorata in controluce di cui riconobbe subito la borsetta rossa a forma di cuore: Alice!
'Ehi musone, hai finito di combattere i mostri?'
Accennò un mezzo sorriso; stordito ancora dalla battaglia persa e mosso un po' dalla rabbia un po' dalla sorpresa gli uscì un:
'Scusa???!'
'Vieni con me!'
Sì limitò lei a sussurrare e gli strappo' velocemente la consolle tra le mani nascondendola nella sua borsetta. Poi si mise a correre.
Ci mancava solo questa, Alberto ora era proprio furibondo. Non solo era stato trascinato lì controvoglia. Doveva anche essere vittima degli strani abitanti di quel posto. Alice non gli era mai piaciuta. Era strana, diceva cose strane, faceva cose strane. Ma, maledizione: il videogioco era ormai nella sua borsetta e non poteva far altro che rincorrerla per riaverlo.
Mentre cercava di riprendere contatto con il mondo si accorse che Alice era scomparsa: non era riuscito a vedere dove era andata.
'Per di qui!' urlò una voce sopra la sua testa: Alice con il suo maglione giallo e grigio di lana spessa ricamato da grossi rombi gli indicava la scala alla sua destra e ridendo scomparve dal terrazzo dove si era sporta.
Alberto salì la scala bianca e cominciò ad incontrare piccoli portoni verdi lungo il cammino: la scala sembrava salire senza fine ma ad un certo punto arrivò allo slargo da cui si era sporta Alice.
Alice però non c'era.
La terrazza era piena di vasi di piante di limoni e due gatti dormivano cullati dal sole di fianco a cassette di verdura sparsa.
'Per di qua!'
Ancora una volta la voce di Alice gli fece da guida e Alberto prese una delle vie in piano che collegavano la grande terrazza. Dalle case si sentivano rumori di pentole, voci di qualche rete televisiva locale, bambini piccoli piangere.
Alberto continuava a camminare e ad ogni passo cresceva lo stupore. In tutti quegli anni non aveva mai curiosato l'interno di Atrani: era sempre stato in spiaggia o nelle piazzette e non si era mai reso conto di quanto fosse magico quel piccolo paese. Sentiva rimbombare nella quiete i suoi piccoli passi, intervallati di tanto in tanto da qualche dialogo dentro una casa o da qualche paesano che scendeva o saliva le scale e lo salutava con simpatia.
D'improvviso si fermò: stava per mettere i piedi sopra una piccola cosa colorata che nella distanza gli era sembrata una cartaccia ma avvicinandosi si accorse che era una statuetta di plastica.
Per la precisione, era un pastorello.
La prese e la mise in tasca.
Alzò gli occhi e vide che c'era un bivio poco più in là. Sugli scalini di sinistra erano posti delle pecorelle e un angelo e non ebbe dubbi su che percorso seguire.
Scelse quella scala e mise in tasca tutte le statuette.
Ricominciò una parte in piano: i muri attorno erano alti e non lasciavano intravedere il mare né dove stavano portando. Ancora una curva, un passaggio sotto una casa e ancora una statuetta a terra di fronte ad una discesa: era un Re Magio.
Si fermò un istante, raccolse la statuina e guardò dietro di lui. Non sapeva assolutamente dove era finito ma la tortuosa bianca via non lo intimidiva più. Aveva qualcosa di magico: l'aria non era calda e soffocante come la ricordava in estate ogni volta che doveva percorrere qualche gradino ed era inspiegabilmente stato molto piacevole salire per il paese.
Alzò lo sguardo verso la fine della via e finalmente la vide. Era un po' accaldata: teneva il maglione tra le braccia e un simpatico asinello con delle strane applicazioni troneggiava sulla maglietta.
Alice era ferma e sorridente davanti a lui e con lei la cattedrale di Amalfi.
Non si era reso conto ma quella strada era un passaggio segreto tra i due paesi. Dalle colonne della cattedrale sotto le scale intravide delle persone ad un tavolino molto famigliari: erano mamma e papà coi i signori Pansa.
Chissà dove pensavano che lui fosse. Probabilmente a giocare sui gradini dove lo avevano lasciato con i suoi zombie…
'Tieni'
Alice interruppe i suoi pensieri: nella mano destra stringeva un falegname, nella sinistra il suo videogioco.
'Ora puoi scegliere se tornare agli zombi o aiutarmi ….'
Pose sulla scalinata il gioco di Alberto e alla fine del sagrato la statuina, poi scomparve oltre la via.
Alberto rimase senza parole. Gli zombie potevano aspettare. D'altra parte sarebbero stati lì dentro per tutto il tempo in cui lui avrebbe deciso di lasciarli. Inoltre non sentiva il desiderio di tornare a giocare. Invece quel labirinto di vie e statuine misteriose lo aveva catturato. Dove lo avrebbero portato? Cosa voleva farne Alice? Come avrebbe potuto aiutarla?
Mise la consolle in tasca e andò a raccogliere la statuina riprendendo il cammino segnato da Alice. Questa volta lei lo aveva aspettato. Si era rimessa il maglione perché stava ormai calando la sera e si era seduta sui gradini poco più lontani.
Quando vide apparire Alberto gli regalò un sorriso e si alzò.
'Andiamo, prima che faccia buio'
Camminarono per un tempo che Alberto non riuscì a definire: più salivano i gradini più si caricava di energia. Erano all'interno del paese chiusi tra i muri delle case: del cielo si vedeva solo la porzione sopra le loro teste che di minuto in minuto mutava colore diventando rossiccio. Finalmente smisero di salire e, dopo una curva, apparve un panorama mozzafiato.
Alberto si fermò paralizzato da tanta bellezza. Il cielo era rosso, in basso cominciavano ad apparire i lumini della sera e di fronte a lui si trovavano le rovine di un antico monastero.
Alice, col caschetto mosso dal vento stringeva la borsa a sé guardando verso i muri del vecchio convento.
Si sedette su un muretto e cominciò ad estrarre le statuine dalla borsa. Ne aveva di tutte le forme e misure: un vero e proprio presepio tascabile!
Si avvicinò a quel punto ad una piccolo fosso che stava al margine del muro e si inginocchiò.
'Vieni, aiutami!' disse
Alberto la raggiunse e noto' che il fosso era levigato all'interno e vi erano delle casette e delle statuine fissate al terreno, nonché dei buchi ad ospitare l'acqua e pietre per simulare un paesaggio montano.
Alice gli spiegò che tutta la costiera amalfitana era cosparsa di piccoli presepi nascosti lungo ogni via. Si potevano incontrare lungo la statale o sulle stradine che collegavano i paesini della montagna e persino nelle fontane. Questi presepi stavano sempre lì e si animavano nel periodo di Natale. Tuttavia aveva scoperto quel piccolo presepe a picco sul mare era stato dimenticato e nessuno lo avrebbe fatto rivivere quel Natale e non poteva essere bello e splendente come tutti gli altri. Aveva deciso che lei se ne sarebbe occupata di persona, almeno finché il convento fosse rimasto abbandonato e così aveva rimediato tutti i personaggi del suo presepe e lì li aveva portati.
Alberto si rese subito conto che si trattava di un presepe molto originale: oltre alle statuette Alice aveva messo un mini pony, dei fiammiferi per legnetti, delle monetine per l'acqua del lago, delle biglie, aveva preso un sacco di sorpresine degli ovetti trasformandoli in originali pastorelli.
Restarono a comporre il loro presepe finché ci fu luce, poi, appena cominciò a fare buio, raccolsero le loro cose e tornarono verso casa ripromettendosi la mattina dopo di tornare a terminare l'opera.
Alberto passò assieme ad Alice una delle sue più belle vacanze natalizie di cui aveva memoria; lei gli mostrò le meraviglie della sua terra: andarono a spiare i pescatori, si persero nei boschi delle Cartarie, andarono a vedere i campi di limoni, un giorno presero di nascosto un autobus che li portò a Ravello, imparò ad osservare il mare seduto sui frangiflutti del molo di Amalfi, camminarono per mille sentieri e mangiarono dolci e cibi deliziosi.
Il mare, dopotutto, non era così male, d'inverno.
Così, tra le lacrime ritratte e i singhiozzi trattenuti, un giorno Alberto dovette salutarla. Erano finite le vacanze ed entrambi sarebbero tornati alla loro vita cittadina. Si salutarono in un giorno di pioggia sullo stipite della porta con un forte abbraccio e una promessa di rivedersi presto.
Poi lui salì in macchina chiamato dai genitori.
La pioggia batteva forte sul finestrino. Alberto si stava mettendo la cintura mentre i suoi genitori finivano di caricare la macchina. L'acqua scrosciava forte e il vento faceva sì che come grosse secchiate non si vedesse nulla dai vetri
Il padre per ultimo salì e finalmente accese i fanali e il tergicristalli.
In lontananza aveva illuminato una strana figura sotto un ombrello trasparente. Sull'ombrello erano stati disegnati un paio d'occhiali e dei grandi baffi neri e la curiosa figura li aveva allineati al suo volto nascondendo i propri tratti.
Solo lei avrebbe potuto trovare il modo di giocare con un semplice ombrello di plastica e Alberto non ci mise molto a capire che era la sua amica, tradita dalla sua borsetta a cuore che spuntava dal cappottino.
'A presto amica mia'
E in un soffio la bella figura si perse dietro i tornanti.