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LA POZZANGHERA MAGICA - mini fashion tales - liberamente ispirato alla collezione bambino di Kenzo a

Carola era stata sgridata ancora una volta. Non riusciva a capire il motivo. L'aveva fatta grossa in quella pozzanghera ma non si era rassegnata.

Aveva puntato i piedi più del solito questa volta ma l'azione a nulla era valsa, né tantomeno era stata capita, esattamente come la settimana precedente quando aveva imbrattato il suo bel vestitino bianco con una colata rossa di marmellata ai lamponi. Lo aveva abbellito, secondo il suo piccolo gusto. E invece il gesto non era stato apprezzato. Probabilmente era solo per il fatto che era bambina e per questo motivo meno tenuta ad avere le proprie ragioni e a poterle sostenere.

Carola aveva deciso che quella stessa notte sarebbe partita. Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto per riavere il sogno che le era stato rubato ma sapeva che l'importante era cominciare. Decise quindi di portar con sé Umberto, il suo piccolo gatto grassoccio. Sarebbe stato un buon compagno di viaggio e una buona guida, perché il mondo, in fondo, un po' le faceva paura. Prese quindi un quaderno, una penna e uno zainetto; vi mise dentro due panini al latte per lei e il piccolo compagno di viaggio e partì.

Carola non era mai uscita di casa da sola, aveva sempre visto il mondo attaccata ad un cappotto, ad una mano, trasportata sulle rotelle, da un vetro di una macchina. Le poche volte che le era stato regalato dello spazio intorno a lei questo era ben custodito, delimitato da cose o da urla che la richiamavano al suo perimetro. Così aveva visto i parchi, il mare, la montagna. Ma ora con Umberto al suo fianco poteva camminare da sola dove voleva e scoprire il mondo.

Con i suoi mille occhi mangiava con lo sguardo ogni cosa le capitasse davanti; il sole, il cemento, gli alberi, le macchine, le persone: ogni cosa le entrava dalle pupille e si accendeva nel cuore. Il passo era leggero, saltava da una parte all'altra della strada. Le scorrevano vicino persone, cose, animali senza sfiorarla, come se il suo percorso fosse protetto da un'invisibile tappeto rosso che la stava accompagnando in un luogo conosciuto.

Carola rideva e ogni cosa che toccava, ogni passo che faceva, lasciava dietro di lei dei lucenti fili d'oro intrecciati che scrivevano nel terreno delle greche dai motivi arcaici. Carola aveva deciso che il mondo non poteva esser neutro, i colori dovevano brillare.

E di rosso e oro immaginava le auto, il cemento, le case. I suoi occhi trasformavano ogni cosa che vedeva e lo stesso Umberto che aveva preso le sembianze di una piccola tigre colorata e ad ogni ROARRRR!! trasformava i fazzoletti, i mozziconi, le cartacce dimenticate dai passanti in bellissimi fiori di ciliegio.

Carola aveva deciso che sarebbe tornata a casa solo dopo aver capito come comunicare ai suoi genitori il perché si era tuffata in quel bellissimo mare dalle onde intrecciate e dalle preziose pietre rosse. Doveva portare a casa qualcosa che dimostrasse che quello che aveva visto era reale e che solo per qualche magia nera il suo bel vestitino e la sua bambola si erano inzaccherate di acqua marrone.

Non c'era prima che si lanciasse con foga! Era un mare di ondine increspate incastonate di rubini splendenti e rigate da riccioli di fili d'oro che sagomavano fiori nell'acqua e coloravano il terreno. Qualcuno al momento del salto le aveva rovinato il suo piacevole gioco e sporcandole l'abito e distruggendole il sogno. Ma il suo sogno era reale.

Continuava così a camminare, a osservare, ad appuntare colori, forme, emozioni. Umberto le stava accanto e di tanto in tanto le mostrava cosa guardare e che via seguire. Le faceva da guida e allo stesso tempo la proteggeva dall'incolore, dal monotono, dal tenebroso.

Improvvisamente Umberto si arrestò. E così anche Carola, che quasi non inciampò per evitare di pestargli la coda. Il gatto-tigrotto la guardò e lei capì che lì era giunto il momento che attendeva.

Si accorse che era arrivati in cima a una gru da cui potevano vedere tutto il panorama, dal più piccolo passante al più alto grattacielo. Così Carola prese le due merendine e ne porse una ad Umberto. Poi estrasse dalla borsa il quaderno e la matita e cominciò a disegnare quello che aveva visto per tutto quel viaggio mescolando forme e colori. Prese un foglio e lo riempì di piccoli occhi, i suoi, che avevano mangiato tutto quel sole, quell'aria, quel mondo variopinto che si era trovata davanti. Ritrasse poi il piccolo Umberto come una piccola tigre dal cuore impavido con i colori giallo, azzurro e arancio. Prese una altro foglio e cancellò il nero ornandolo d'oro, di fiori azzurri, di ventagli rossi e pietre preziose.

Continuò a disegnare senza interrompersi finché ebbe punta la matita.

Terminata l'opera Umberto saltò sui fogli e li graffiò sapientemente: ogni taglio aveva un senso e Carola lo sapeva bene. La bambina prese così i fogli e cominciò ad intrecciarli con una logica così illogica da trarne in poco tempo una tridimensionalità. E, terminata la composizione, cominciò ad indossare i buffi disegni e gli stravaganti colori sopra il suo vestitino incrostato.

Ora aveva un cappellino nero con piccole onde che tratteggiavano un mare giocoso in un fresco azzurro cielo sormontato da piccoli occhi vedetta sulla testa. Al collo aveva arrotolato un'insieme di fogli dello stesso motivo come fossero una sciarpa. Sulle scarpine aveva ritagliato e posto gli stessi occhietti così che ogni suo passo nel mondo potesse essere sapientemente guidato. Da sotto il cappottino che aveva rielaborato con piccoli occhietti e fili d'oro, sbucava una spessa gonna di un rosso sgargiante.

Ecco, pensò. Ora capiranno.

E così, senza a chiedere ad Umberto la via, scese dalla gru, passò tra le auto, i giardini, i marciapiedi guidata dai sapienti piedini e dai fiori di ciliegio lasciati come traccia e corse verso casa...

Carola si svegliò la mattina avvolta da una coperta morbida e calda e da un raggio che trapelava dagli scuri appena accostati. Quando socchiuse gli occhi sentì di avere un po' di mal di testa e quando li aprì notò che la mamma ed Umberto la stavano osservando. Non ricordava molto del come fosse arrivata nel letto ma ricordava perfettamente il viaggio fatto insieme al piccolo gatto.

Ma nel preciso istante in cui mosse le labbra per mostrare alla mamma il suo bell'abitino di carta vide Umberto torcere il naso in segno di silenzio e, senza sapere perché, si trattenne.

'Credo non siano ancora pronti a capire' sussurrò a sé stessa.

E così, mentre già pensava alla prossima pozzanghera da esplorare, lasciò scivolare le sue piccole creazioni di carta sotto il lenzuolo.

#raccontiminifashiontaleskenzovalentinamaristoriemoda

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